Ricorso della Regione Basilicata (80002950766) in persona del legale rappresentante, il Presidente della giunta regionale, dr. Vito De Filippo, autorizzato a proporre il presente ricorso con delibera di giunta regionale n. 1257 del 9 settembre 2011, rappresentato e difeso dall'avv. Valerio Di Giacomo, dell'Ufficio legale e del contenzioso dell'Ente, giusta procura speciale ad litem a margine del presente atto, con il quale e' elettivamente domiciliato presso l'Ufficio rappresentanza in Roma, alla via Nizza n. 56; Nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, con sede in Roma, piazza Colonna n. 370, Palazzo Chigi, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso cui e' per legge domiciliato; Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, ai sensi degli artt. 127 Cost. e 32 legge n. 87 dell'11 marzo 1953, della legge n. 111 del 15 luglio 2011 di «conversione con modifiche del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011 recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 16 luglio 2011, ed, in particolare, dell'art. 19, comma 4, della suddetta legge, che recita: «per garantire un processo di continuita' didattica nell'ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012 la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado; gli istituti comprensivi per acquisire l'autonomia devono essere costituiti con meno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche»; E dell'art. 19, comma 5, della suddetta legge, che recita: «alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 500 unita', ridotto fino a 300 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche , non possono essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato. Le stesse sono conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome». Motivi A. quanto all'art. 19, comma 4, della legge n. 111/2001 si prospettano le seguenti censure: I) violazione dell'art. 117, commi 3 e 6, Costituzione; II) violazione dell'art. 118 Costituzione; III) violazione del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, di cui all'art. 120, Costituzione; IV) violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita'. I. L'art. 117, comma 3 della Costituzione comprende tra le materie di competenza legislativa concorrente quella relativa all'«istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale»; puntualizza che: «Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Il precedente comma 2, lett. n), dell'art. 117 Cost., invece, affida esclusivamente al legislatore statale la determinazione delle «norme generali sull'istruzione». Ha sostenuto la Consulta che «In particolare, sono norme generali all'istruzione quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parita' di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione, nonche' la liberta' di istituire scuole e la parita' tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge, ivi compresa la disciplina relativa alla ''autonomia delle istituzioni scolastiche'', facenti parte del sistema nazionale di istruzione.». Si tratta, dunque, di norme e discipline che «sono funzionali, anche nei loro profili di rilevanza organizzativa, ad assicurare, mediante - si ribadisce - la previsione di un'offerta formativa necessariamente uniforme sull'intero territorio nazionale, l'dentita' culturale del paese, nel rispetto della liberta' di insegnamento di cui all'art. 33, primo comma Cost.» (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 200 del 2009, p. 24). Infine, un ambito di legislazione statale esclusiva che puo' incidere sulla materia istruzione riguarda la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale (art. 117, comma 2, lett. m), Cost.): tra i diritti suddetti e' compreso quello all'istruzione, per cui la suddetta competenza e' funzionale a garantire a tutti gli utenti del servizio scolastico «un adeguato livello di fruizione delle prestazioni formative sulla base di standards uniformi applicabili sull'intero territorio nazionale, ferma comunque la possibilita' delle singole regioni, nell'ambito della loro competenza concorrente in materia, di migliorare i suddetti livelli di prestazione e, dunque, il contenuto dell'offerta formativa ed adeguandola in particolare alle esigenze locali. Tuttavia la fissazione dei livelli essenziali di prestazione del servizio scolastico non puo' includere l'assetto organizzativo e gestorio del servizio (sent. n. 120 del 2005 cit.) che comunque non rileva nella specie.» (cfr. Corte cost., sent. n. 200/2009, p. 27). In sostanza, gli ambiti di competenza legislativa statale sono riconducibili alla fondamentale esigenza di garantire l'eguale diritto all'istruzione di tutti gli utenti dei servizi scolastici e formativi, si' da giustificare la necessita' di una disciplina uniforme sull'intero territorio della Repubblica, mentre la competenza legislativa regionale deve essere garantita in ordine alla determinazione degli assetti organizzativi e gestionali del servizio istruzione, suscettivi di adattamento alle esigenze locali ed alle realta' sociali ivi insistenti. A tali ambiti riservati alla competenza legislativa statale certamente non attengono le disposizioni contenute nel comma 4 dell'art. 19 legge n. 111/2011, il quale disponendo che «per garantire un processo di continuita' didattica nell'ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012 la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado; gli istituti comprensivi per acquisire l'autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche» pone una previsione normativa di dettaglio in materia di «istruzione». Infine, rientrano nella competenza esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), Cost. le materie dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici, nazionali e dell'ordinamento civile che rileva in particolare, per la disciplina privatistica del rapporto di lavoro del personale della scuola. Certamente le disposizioni normative contenute nel citato comma dell'art. 19 legge n. 111/2011 non costituiscono norme generali sull'istruzione, bene, quest'ultimo, inteso come fondamentale diritto, collettivo ed individuale di ogni cittadino, da garantire in eguale misura, si' da legittimare un intervento normativo uniforme su tutto il territorio della Repubblica italiana. In sostanza non si tratta di «... disposizioni che contribuiscono a delineare la struttura di base del sistema di istruzione», che «... non necessitano di un'ulteriore normazione a livello regionale, e dunque, non possono essere qualificate come espressive di principi fondamentali della materia dell'istruzione.», vale a dire quella struttura basilare del sistema istruzione che si evince dal quadro delle disposizioni di cui agli artt. 33 e 34 Cost. ed in prospettiva dei diritti la cui tutela e' in quelle sottesa (come si esprime la Consulta, nella sentenza n. 200/2009 «il legislatore costituzionale ha assegnato alle prescrizioni contenute nei citati artt. 33 e 34 valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale.»). Soccorre, appunto, la ricostruzione normativa del quadro legislativo relativo alla normativa a carattere generale sull'istruzione che la Consulta, nella citata decisione, ha operato, evidenziando che la fondamentale legge 28 marzo 2003, n. 53 (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale) abbia ricompreso nelle norme generali sull'istruzione: «la definizione generale e complessiva del sistema educativo di istruzione e formazione, delle sue articolazioni cicliche e delle sue finalita' ultime; la regolamentazione dell'accesso al sistema ed i termini del diritto-dovere alla sua fruizione; la previsione generale del contenuto dei programmi delle varie fasi e dei vari cicli del sistema e del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la ''quota nazionale''; la previsione e la regolamentazione delle prove che consentono il passaggio ai diversi cicli; la definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilita' nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito dei percorsi formativi, nonche' per il passaggio ai percorsi scolastici; la definizione generale dei ''percorsi'' tra istruzione e formazione che realizzano diversi profili educativi, culturali e professionali (cui conseguono diversi titoli e qualifiche, riconoscibili sul piano nazionale) e la possibilita' di passare da un percorso all'altro; la valutazione periodica degli apprendimenti e del comportamento degli studenti del sistema educativo di istruzione e formazione, attribuito agli insegnanti della stessa istituzione scolastica; i principi della valutazione complessiva del sistema; il modello di alternanza scuola-lavoro, al fine di acquisire competenze spendibili anche nel mercato del lavoro; i principi di formazione degli insegnanti.». La Consulta ha anche puntualizzato che «Inoltre, in via interpretativa, sono, in linea di principio, considerate norme generali sull'istruzione anche quelle sull'autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche, di cui all'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), quelle sull'assetto degli organi collegiali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 1999, n. 233 (Riforma degli organi collegiali territoriali della scuola, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonche' quelle sulla parita' scolastica e sul diritto allo studio e all'istruzione, di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parita' scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione). Il complesso delle suindicate fonti legislative rappresenta, per la sua valenza sistematica volta a definire espressamente l'ambito materiale di intervento esclusivo dello Stato, un significativo termine di riferimento per valutare se nuove disposizioni, contenute in altre leggi, possano essere qualificate allo stesso modo.». La norma censurata, invece, imponendo la formazione di istituti comprensivi per «la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado», sopprimendo «le istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado» e condizionando solo relativamente a detti istituti comprensivi il riconoscimento dell'autonomia scolastica ad un dimensionamento di «almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche», per un verso esorbita dal novero di quelle disposizioni che la Corte costituzionale ha indicato come norme generali in materia di istruzione, per altro verso, pone una norma di sicuro dettaglio, idonea ad incidere in modo vincolante sulle scelte regionali concernenti la definizione degli assetti programmatico-organizzativi della rete scolastica e ad elidere competenze ineludibilmente assegnate alle Regioni, le piu' idonee a conoscere ed operare scelte politiche rispondenti alle caratteristiche ed esigenze del proprio territorio e della popolazione ivi residente. La disposizione, infatti, prevedendo in modo vincolante il siffatto accorpamento verticale delle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di I grado ed il limite minimo del loro dimensionamento, preclude alle Regioni di adeguare la rete scolastica ed il suo dimensionamento, alle esigenze e particolarita' del suo territorio. Il legislatore, dunque, non ha riformato il «sistema basilare di istruzione» riguardo al primo ciclo, ma ha solamente previsto una necessaria aggregazione di scuole di infanzia, di scuola primaria e scuola secondaria di I grado (che restano tali) in istituti comprensivi, che attiene sicuramente ad aspetti organizzativo- gestionali inerenti la programmazione ed organizzazione della rete scolastica (gia' riferito alla competenza regionale dalla sentenza 13 gennaio 2004, n. 13 della Corte costituzionale) ed il dimensionamento delle istituzioni (pure riferito alla competenza regionale da Codesta Corte, con sentenza n. 34 del 2005), che non puo' prescindere dalle realta' ed esigenze sociali del territorio. La scelta obbligata impedisce, infatti, alle singole regioni, di considerare nell'effettuazione delle scelte programmatorie ed organizzative della rete scolastica, la composizione e la dislocazione sul territorio della popolazione scolastica e delle strutture e servizi locali, la realta' geografica e la composizione orografica del suo territorio, la composizione demografica della popolazione regionale, la dislocazione e consistenza di strutture ed infrastrutture, particolarmente quelle relative ai trasporti ed ogni altro aspetto che deve essere demandato alle autonome scelte politiche delle regioni, invece ridotte a ben poca cosa con siffatti pesanti e spropositati condizionamenti. Trattasi di scelte che fino a prima dell'emanazione della norme censurate venivano effettuate dalla regioni in occasione dell'adozione dei piani di dimensionamento scolastico. Richiamando la sua giurisprudenza, nella citata sentenza, la Corte ha avuto modo di chiarire che «Con la sentenza n. 13 del 2004, piu' volte richiamata dalle stesse ricorrenti, la Corte ha affermato che «nel complesso intrecciarsi in una stessa materia di norme generali, principi fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche, si puo' assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione della rete scolastica. E' infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998. Successivamente, con la sentenza n. 34 del 2005 la Corte, nel richiamare la suindicata sentenza n. 13 del 2004, ha affermato che l'ampio decentramento delle funzioni amministrative delineato dalla legge n. 59 del 1997, ed attuato con il decreto legislativo n. 112 del 1998, ha visto delegare importanti e nuove funzioni amministrative alle Regioni, fra cui anzitutto quelle di programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale (art. 138, comma 1, lettera a)), e di programmazione della rete scolastica (art. 138, comma 1, lettera b)).». Nella sentenza n. 200/2011, punto 38.1, Codesta Corte ha evidenziato: «Sul punto, infatti, questa Corte ha avuto modo di rilevare che, da un lato, l'art. 138, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo n. 112 del 1998 aveva gia' delegato alle Regioni, nei limiti sopra esposti, funzioni amministrative in materia, tra l'altro, di programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, nonche' di programmazione della rete scolastica; dall'altro, l'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1998, n. 233 (Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva disposto che «i piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche (..) sono definiti in conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli ambiti territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni» (sentenza n. 34 del 2005). Avendo riguardo alle riportate disposizioni legislative, la Corte ha cosi' ritenuto, con la citata sentenza, che «proprio alla luce del fatto che gia' la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998, e' da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita» sia pure soltanto sul piano meramente amministrativo. In altri termini, la definizione del riparto delle competenze amministrative attuato con il citato decreto legislativo fornisce un tendenziale criterio utilizzabile per la individuazione e interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del Titolo V ha attribuito alla potesta' legislativa concorrente o residuale delle Regioni. Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo perseguito dalla disposizione in esame, si deve constatare che la preordinazione dei criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una diretta ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realta' territoriali ed alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale, con la precisazione che non possono venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualita' dell'offerta formativa e, dunque, sulla didattica. E non e' senza significato che il comma 4-quater dello stesso art. 64, introdotto dall'art. 3, comma 1, del successivo decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito nella legge n. 189 del 2008, abbia previsto - in sostanziale discontinuita' con quanto contenuto nella disposizione censurata - che le Regioni e gli enti locali, «nell'ambito delle rispettive competenze (...) assicurano il dimensionamento delle istituzioni scolastiche». La Corte costituzionale ha avuto anche modo di evidenziare che «Appartengono invece alla categoria delle disposizioni espressive di principi fondamentali della materia dell'istruzione, anch'esse di competenza statale quelle norme che nel fissare criteri obiettivi direttive o discipline pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalita' di fruizione del servizio dell'istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d'istruzione che caratterizza le norme generali sull'istruzione, dall'altro, necessitano, per la loro attuazione (e non gia' per la loro semplice esecuzione) dell'intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la sua azione all'osservanza dei principi fondamentali stessi. In particolare, lo svolgimento attuativo dei predetti principi e' necessario quando si tratta di disciplinare situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realta' territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico. In questa prospettiva viene in rilievo, come si dira' oltre nell'analisi delle specifiche censure prospettate, sia il settore della programmazione scolastica regionale sia quello inerente al dimensionamento sul territorio della rete scolastica. La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio, negli ambiti sopra indicati, va intesa, come questa Corte ha avuto modo di affermare, nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per aggiungere detti obiettivi (sentenze n. 430 del 2007 e n. 181 del 2006). In altri termini, la funzione dei principi fondamentali e' quella di costituire un punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del potere legislativo regionale (sentenza n. 177 del 1988). Cio' implica, nella concreta attuazione, che i principi fondamentali della materia, operando sostanzialmente da raccordo tra le ''norme generali'' e quelle di competenza regionale in tema di istruzione, passano attraverso il termine medio della legislazione delle Regioni, adottata nell'ambito di scelte riservate all'autonomia del legislatore regionale; scelte che, legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realta' territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico, operino nel quadro di una discrezionalita' volta a garantire la diretta presenza delle Regioni medesime nella disciplina del servizio scolastico sul territorio, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal legislatore statale, nonche', ovviamente, delle ''norme generali sull'istruzione''. In questa prospettiva, dunque, la legislazione di principio svolge una funzione di coordinamento e collegamento tra il sistema scolastico nazionale, nella sua essenza strutturale, e gli ambiti di disciplina, connessi alle specificita' territoriali, demandati alla competenza delle Regioni (sul rapporto tra diversi livelli di competenza e sulla funzione dei principi fondamentali si veda, sia pure con riferimento a fattispecie diversa da quella in esame, la sentenza n. 102 del 2008).». Trova conferma l'orientamento di Codesta Corte, secondo cui «la relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio (...) va intesa (...) nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (sentenze nn. 430 del 2007 e 181 del 2006). In altri termini, la funzione dei principi fondamentali e' quella di costituire un punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del potere legislativo regionale (sentenza n. 177 del 1988)». II. Il carattere di dettaglio della norma legislativa statale censurata, inoltre, condiziona pesantemente, menomandola, la funzione di programmazione della rete scolastica, funzione gia' assegnata alle competenze regionali dall'art. 138, comma 1, lett. b), del decreto legislativo n. 112/1998, cosi' violando anche l'art. 117, comma 6, Cost., secondo cui «La potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potesta' regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Citta' metropolitane hanno potesta' regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.» e l'art. 118 Cost. che assegna le funzioni amministrative alle autonomie locali, in ragione dei prinicipi di sussidiarieta' ed adeguatezza. III. Violato risulta, altresi', il canone di leale collaborazione sancito dall'art. 120 Cost., secondo cui «La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione.»: la normativa e' giunta a sorpresa, senza interessare i necessari organismi e momenti di intesa e concertazione fra lo Stato ed il sistema delle Autonomie locali. Come ha precisato codesta Corte (sent. n. 51/2005) «l'intervento legislativo dello Stato - proprio perche' incidente su plurime competenze tra loro inestricabilmente correlate - deve prevedere strumenti idonei a garantire una leale collaborazione con le regioni.». IV. L'espediente giustificativo celato sotto la formula «garantire un processo di continuita' didattica nell'ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012» non deve trarre in inganno: a parte l'assoluta novita' di tale «esigenza», invero, mai avvertita prima di oggi dal legislatore nazionale e, comunque, avvertita solo per le scuole del primo ciclo scolastico comprendente scuole eterogenee, quali quella dell'infanzia, quelle primarie e quelle secondarie di I grado, e' il caso di evidenziare che la scelta organizzativa imposta alle regioni, per un verso discrimina tra istituzioni pubbliche e private, tra «la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado» a cui impone un modulo organizzativo di necessaria aggregazione verticale e dimensionamento di almeno 1000 alunni (500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche) ed altre scuole, a cui non impone alcun modulo aggregativo e consente un'autonomia che prescinde dai precitati dati dimensionali (come ampliamente si osservera' anche in seguito, sviluppando le censure relative al successivo comma); per altro verso costituisce una soluzione non necessitata vale a dire che essa non trova risposta obbligata e congrua nell'aggregazione verticale in istituti comprensivi, ma, anzi, si presta a comprimere anche la liberta' di scelta degli utenti, rivelandosi poco logica e sproporzionata. Invero, l'occultamento della sottesa reale volonta' di rinvenire soluzioni per comprimere ulteriormente le risorse umane e finanziarie destinate all'istruzione pubblica (che si evince dal tenore dell'art. 19 in esame, intitolato appunto razionalizzazione della spesa relativa all'organizzazione scolastica.) non trovano legittimazione neanche alla luce delle competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. A riguardo la Corte costituzionale ha infatti precisato che «Nella giurisprudenza di questa Corte e' ormai consolidato l'orientamento per il quale il legislatore statale, con una ''disciplina di principio'', puo' legittimamente ''imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti'' (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004). Perche' detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, essi debbono riguardare l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo ''in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale'' - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi. In altri termini, la legge statale puo' stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 88 del 2006, n. 449 e n. 417 del 2005, n. 36 del 2004)» (sentenza n. 169/2007). Pertanto «norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 120 del 2008; n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006)» (sentenza n. 289/2008). In conclusione, la Corte costituzionale con la recente sentenza n. 182 del 2001 ha ribadito che «la legge statale puo' stabilire solo un ''limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa''» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). Emerge, pertanto, un ulteriore aspetto di illegittimita' costituzionale. Ancor piu' evidente si palesa la violazione dei canoni di proporzione e ragionevolezza, ove si consideri che l'intervento legislativo si riferisce all'anno scolastico 2011-2012, gia' interessato dalla programmazione dell'organizzazione della rete scolastica e del dimensionamento delle istituzioni effettuata dalla regione Basilicata, che, appunto, ha gia' approvato i piani di dimensionamento scolastico relativo al suddetto anno scolastico: l'improvvisata normativa statale inficia tutto lo sforzo programmatico operato dalle regioni, bruciando le energie e risorse occorse, anche a detrimento dell'esigenza di buon andamento dell'azione amministrativa pubblica. B) Anche riguardo all'art. 19, comma 5, della legge n. 111/2001 si prospettano le censure formulate riguardo al precedente comma 4. Le censure prospettate in ordine al comma 4 dell'art. 19, legge n. 111/2011 valgono, mutatis mutandis, per la norma del successivo comma 5; questa dispone che «alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 500 unita', ridotto fino a 300 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche , non possono essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato. Le stesse sono conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome». La norma, legando la condizione di assegnazione della dirigenza scolastica con incarico a tempo indeterminato all'autonomia, discrimina tra istituti necessariamente comprensivi del primo ciclo scolastico, per i quali condiziona l'autonomia scolastica alla necessaria configurazione e dimensionamento di cui al precedente comma, che ne costituisce, quindi, logico presupposto, e le altre istituzioni scolastiche, a cui sembrerebbe consentire l'autonomia rapportata ad un differente dimensionamento (anche meno di 500 alunni); pertanto, in quanto necessariamente correlata al precedente capoverso e per le conseguenze che implica in termini di illogica discriminazione - di cui si dira' in seguito -, la norma merita le censure gia' prospettate riguardo al precedente comma del medesimo art. 19. Non s'intende contestare la competenza esclusiva statale in ordine alla disciplina del rapporto di lavoro della dirigenza scolastica, quanto a requisiti, titoli e contenuti, ma la scelta organizzativa a monte, che - come innanzi illustrato - sottrae alle singole regioni scelte relative all'organizzazione della rete scolastica ed al dimensionamento delle istituzioni scolastiche, determinando anche un'inaccettabile discriminazione tra scuole del primo ciclo scolastico (dell'infanzia, primaria, secondaria di I grado) a cui e' imposta l'aggregazione verticale in istituti comprensivi ed un dimensionamento minimo di 1000 alunni (500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche) per poter acquisire l'autonomia e, dunque, ottenere l'assegnazione di dirigenti conincarico a tempo indeterminato, che implica - come gia' sostenuto - l'estromissione delle regioni dalle scelte di loro competenza relative agli assetti organizzativo-dimensionali della rete scolastica, imprescindibilmente correlate alle concrete realta' sociali e territoriali delle singole regioni. La norma, quindi, finisce per determinare senza logica giustificazione differenti trattamenti e discriminazioni, anche tra dirigenti scolastici, distinguendo tra quelli assegnati ad istituti necessariamente comprensivi e con almeno 1000 alunnidelle scuole del primo ciclo scolastico e quelli asseganti agli altri istituti autonomi con almeno 500 alunni (300 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografichecaratterizzate da specificita' linguistiche), tra l'altro incaricati di reggenza presso istituti con popolazione scolastica inferiore a 500 alunni (300 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificita' linguistiche) sebbene anch'essi autonomi e, ciononostante, loro malgrado incomprensibilmente privi di loro dirigenza.